HIV e AIDS: cosa sono?

12/21 • 16 min • Copia link

Il 1 dicembre in tutto il mondo si celebra la Giornata Mondiale contro l’AIDS. Nonostante di AIDS e HIV si senta molto parlare, spesso e volentieri c’è tanta confusione a riguardo.

Quindi… facciamo chiarezza!

La differenza tra AIDS e HIV

Spesso HIV e AIDS vengono usati come sinonimi, in realtà non è così.

Come ricorda il Ministero della salute, l’HIV (acronimo di Human immunodefiency virus):

 è un virus che attacca e distrugge, in particolare, un tipo di globuli bianchi, i linfociti CD4, responsabili della risposta immunitaria dell’organismo.

L’AIDS (ovvero l’Acquired immune defiency sindrome) , invece, sempre citando il Ministero della salute:

identifica uno stadio clinico avanzato dell’infezione da Hiv. È una sindrome che può manifestarsi nelle persone con HIV anche dopo diversi anni dall’acquisizione dell’infezione, quando le cellule CD4 del sistema immunitario calano drasticamente e l’organismo perde la sua capacità di combattere anche le infezioni più banali.

Per dirla in breve, quindi:

  1. L’HIV è solo il virus, l’AIDS è la sindrome che ne conseguenze se si arriva ad uno stadio avanzato
  2. Si può avere l’HIV (ovvero l’infezione del virus), senza avere l’AIDS (lo stadio clinico avanzato)
  3. Se si ha l’AIDS (cioè lo stadio clinico avanzato), si ha anche automaticamente l’HIV (il virus)

HIV: le 3 fasi dell’infezione

Dato che l’AIDS è solo la fase avanzata di una infezione da HIV, questo ci fa capire che quando si parla di HIV e AIDS bisogna dividere il tutto in tre fasi.

Nella prima fase, la persona viene infettata dal virus HIV e diventa positiva al test. Tra quando la persona viene infettata e quando diventa effettivamente positiva al test c’è un tempo chiamato “periodo finestra” durante il quale, anche se negativa, la persona può comunque trasmettere il virus. Ne parleremo più avanti.

Nella seconda fase, dopo il contagio, la persona continua ad essere positiva al test HIV, senza alcun sintomo. Questo periodo può durare anche diversi anni, in cui una persona se non fa il test non sa di avere il virus e di poterlo trasmettere agli altri.

Durante la terza fase, che può arrivare anche dopo diversi anni dal contagio, si arriva all’AIDS, cioè l’immunodeficienza. La persona è sempre positiva al virus HIV come prima, ma il sistema immunitario comincia ad essere compromesso. In particolare alcuni patogeni che non creano problemi nelle persone sieronegative, diventano invece un grosso problema per la persona con AIDS, perché il suo sistema immunitario fa enorme fatica a combatterli.

Va specificato che la terza fase può essere evitata, se ci si sottopone al test e si scopre l’infezione è possibile prendere una terapia per evitare di arrivare all’AIDS. Anche sulle terapie ne parleremo più avanti.

Come si prende l’HIV?

Spesso e volentieri c’è scarsa conoscenza di come ci contagia con il virus dell’HIV. Ancora oggi quando una persona dice di essere sieropositiva le persone la vedono come una potenziale untrice, capace di contagiare in qualsiasi atto quotidiano.

Le realtà però è diversa, se ci basiamo sui fatti scientifici.

Come riportato dal Ministero della Salute, l’HIV si trasmette con il contatto dei seguenti liquidi biologici: sangue, liquido precoitale, sperma, secrezioni vaginali e latte materno.

Se questi sono i liquidi in cui è contenuto il virus, questo non vuol dire che basta toccare una goccia di sangue per infettarsi. Perché avvenga l’infezione il virus deve entrare nell’organismo, attraverso le ferite della pelle o le mucose.

Ci sono infatti tre vie di trasmissione per prendere il virus: sessuale, ematica e verticale.

La trasmissione sessuale

Per trasmissione sessuale si intende che il virus dell’HIV si trasmette attraverso i rapporti sessuali, in Italia è la modalità di trasmissione più frequente.

Sono da considerarsi a rischio di trasmissione tutti quei rapporti che non sono protetti da un metodo barriera (preservativo, preservativo femminile o dental dam).

I rapporti a rischio sono sia tra persone dello stesso sesso che di sesso opposto e includono sesso anale, vaginale e anche orale.

Da specificare che il sesso orale, anche se presenta un rischio minore rispetto a quello vaginale o anale, è comunque a considerato a rischio. In questo tipo di rapporto corre rischi solo chi stimola con la sua bocca i genitali dell’altra persona e NON chi riceve la stimolazione (a meno che la bocca di chi la pratica non ferite aperte che stanno sanguinando, chiaramente).

La trasmissione ematica

Nel nostro Paese non è una modalità frequente, dato che la via principale di trasmissione ematica in passato era quella attraverso le trasfusioni di sangue.

Ad oggi in Italia gli standard di qualità sono molto alti e i donatori di sangue vengono adeguatamente selezionati e sottoposti a dei controlli ad ogni donazione effettuata.

Rimane invece possibile la via di trasmissione ematica attraverso la condivisione di siringhe o punture accidentali di aghi infetti (in particolare il personale sanitario).

La trasmissione verticale

Per trasmissione verticale si intende che il virus può essere trasmesso dalla madre al feto o neonato. Questo può avvenire durante la gravidanza, il parto o l’allattamento.

In Italia anche questa via di trasmissione non è frequente, soprattutto perché si può ridurre il rischio somministrando una terapia antiretrovirale sia alla madre durante la gravidanza, sia al neonato nelle prime settimane di vita.

Come NON si prende l’HIV?

Quando una persona confessa di avere l’HIV, spesso viene stigmatizzata perché si pensa che anche solo starle vicino o toccarla sia rischioso. In un precedente articolo abbiamo infatti parlato anche dello stigma delle persone con l’HIV.

Come riportato dal Ministero della Salute, l’HIV NON si trasmette:

  • attraverso le carezze o i baci
  • mediante saliva, lacrime o sudore
  • attraverso le punture di zanzara
  • condividendo stoviglie
  • utilizzando lo stesso bagno
  • in piscine, palestre o in altri luoghi di convivenza

Inoltre va aggiunto che, a differenza di altri virus come quello dell’epatite B e epatite C, l’HIV è abbastanza labile nell’ambiente esterno e non sopravvive molto all’aria aperta.

Motivo per cui solitamente una puntura con un ago o una siringa abbandonata per terra, non è considerato a rischio HIV perché significa è passato del tempo. Discorso diverso invece è per altri tipi di virus, come quelli appunto dell’epatite B e C, che possono sopravvivere per un periodo più lungo.

Come proteggersi dall’HIV durante i rapporti sessuali?

Il preservativo protegge contro l'HIV

Chiarito quindi che la via principale di trasmissione dell’HIV in Italia sono i rapporti sessuali, occorre sapere come proteggersi. In linea di massima, come vedremo più avanti, che una persona con l’HIV non la si riconosce semplicemente guardandola in faccia, ma servono dei test specifici.

Per questo motivi ogni rapporto con una persona il cui stato sierologico è sconosciuto (sia perché non lo sappiamo, sia perché la stessa persona non ha mai fatto i test) andrebbe protetto.

I metodi barriera

Il principale modo per proteggersi dall’HIV è l’utilizzo dei metodi barriera durante i rapporti sessuali. I metodi barriera hanno l’obiettivo di evitare il contatto tra liquidi potenzialmente infetti di un partner e le mucose dell’altro.

I metodi barriera vanno utilizzati per ogni tipo rapporto: orale, vaginale e anale. Dall’inizio alla fine.

Possiamo individuarne di tre tipi.

Il classico condom, ovvero il profilattico da indossare sul pene. Questo protegge per i rapporti penetrativi anali, vaginali e nel caso di fellatio, cioè sesso orale praticato su un pene.

Il femidom, chiamato anche preservativo femminile, serve per proteggere i rapporti penetrativi anali e vaginali. È formato una guaina trasparente che si può inserire all’interno della vagina prima del rapporto ed ha due anelli all’estremità. È possibile utilizzarlo anche nei rapporti anali togliendo l’anello interno.

Il dental dam serve per proteggere i rapporti sessuali orali praticati su una vagina oppure sull’ano. Si tratta di un lenzuolino di lattice da applicare sulla vagina o sull’ano per poter praticare un rapporto orale in sicurezza.

La PrEP: profilassi pre-esposizione

La PrEP o profilassi pre-esposizione consiste nell’assumere una combinazione di farmaci attivi contro Hiv prima dei rapporti sessuali.

Se la PrEP viene assunta correttamete, è estremamente efficace. Il Centro per il controllo delle malattie degli Stati Uniti parla di un’efficacia al 99% se si assume come da prescrizioni.

Da protocollo il farmaco deve essere assunto o quotidianamente (una volta al giorno), oppure due compresse tra le 2 e le 24 ore prima del rapporto, una terza compressa dopo 24 ore dal rapporto e una quarta dopo ulteriori 24 ore.

Per poter avere la PrEP bisogna essere seguiti da un infettivologo, infatti prima di poterla prescrivere devono essere effettuati alcuni esami, tra cui il test dell’HIV.

Si tratta infatti di una terapia preventiva, che non può essere data a chi l’HIV ce l’ha già, perché si rischia di sviluppare forme resistenti ai farmaci.

I controlli presso l’infettivologo devono essere costanti, perché vanno monitorati costantemente sia lo stato di infezione da HIV che eventuali effetti collaterali.

La PrEP però, a differenza dei metodi barriera, protegge solo dall’HIV e non dalle altre infezioni sessualmente trasmissibili.

Inoltre attualmente il costo del farmaco è elevato e totalmente a carico dell’interessato. Si parla di 700 euro a confezione per l’originale e 70 euro circa per il generico.

La PeP: la profilassi post-esposizione

I due metodi citati prima, ovvero i metodi barriera e la PrEP, permettono di proteggersi prima che il rapporto avvenga.

Esiste però anche una protezione di emergenza, nel caso una persona abbia avuto un rapporto a rischio HIV: la profilassi post-esposizione.

Va specificato assolutamente che si tratta di una protezione di emergenza e che quindi non è efficace al 100%, di conseguenza va usata solo in casi eccezionali e non deve essere la regola. La protezione di norma dovrebbe essere fatta prima del rapporto sessuale e non a rapporto concluso.

Nel caso una persona abbia avuto un rapporto o una situazione a rischio HIV è necessario intervenire tempestivamente. Ci si deve immediatamente recare in pronto soccorso o in un reparto di malattie infettive vicino e chiedere della PeP. Infatti la PeP è efficace se viene presa nelle prime 48 ore e, in generale, prima si prende meglio è.

In questo caso il medico o la medica in questione valuteranno il tipo di esposizione e se per essa è raccomandata la somministrazione della profilassi.

Nel caso si proceda con la PeP, bisogna prenderla regolarmente e il trattamento dura un mese. Solitamente si effettua comunque un test HIV prima di somministrarla e un secondo trascorso il “periodo finestra” dall’esposizione (che varia a seconda del tipo di test che si utilizza) per verificare se è avvenuto il contagio o meno.

I test per l’HIV: quali sono e dove farli

Parlando quindi di test per poter individuare se una persona ha l’HIV, le opzioni sono diverse. I test possono essere fatti sia sul sangue che sulla saliva ed esistono anche dei test rapidi.

Bisogna specificare che nessun test disponibile può diagnosticare l’HIV appena c’è stata l’esposizione: esiste infatti il cosiddetto periodo finestra in cui il virus, anche se presente, non è ancora rilevabile dai test ma è comunque contagioso.

Per quanto riguarda i test effettuati con prelievo di sangue, si dividono solitamente in due tipi: test che individuano solo gli anticorpi (III generazione) e test combinati (di IV generazione).

I test di terza generazione quindi individuano solamente gli anticorpi contro il virus dell’HIV. Per avere la certezza di un risultato definitivo bisogna effettuarli dopo almeno 90 giorni dall’evento a rischio.

I test combinati sono invece test di quarta generazione: non si limitano a ricercare solo gli anticorpi del virus, ma anche parte del virus stesso come l’antigene p24. Per questo il periodo finestra per avere un risultato definitivo è inferiore: 40 giorni dopo l’evento a rischio.

Va ricordato che il test si può eseguire anche nelle strutture pubbliche, in questo caso sarà gratuito e anonimo.

Sul sito dell’associazione Uniti contro l’AIDS è possibile consultare l’elenco delle strutture pubbliche che effettuano il test, selezionando la propria regione e provincia.

Esistono poi anche dei test rapidi fai da te, che non richiedono l’intervento di un laboratorio e si possono acquistare anche in farmacia ed eseguire in autonomia. Possono essere fatti sia su sangue (tramite una piccola puntura sul dito) o su saliva e il risultato è disponibile in pochi minuti.

Il periodo finestra dipende anche qui dal tipo di test: 90 giorni se è di terza generazione, 40 se è di quarta. Basta controllare sul foglio illustrativo.

In caso di positività o risultato dubbio è bene rivolgersi al proprio medico o al centro di malattie infettive del proprio territorio.

Ci sono delle terapie per l’HIV? Certo che sì

Premessa importante: i farmaci attualmente presenti contro il virus dell’HIV non permettono una completa eradicazione del virus, ma di tenerlo sotto controllo. Questo significa che una persona con l’HIV dovrà assumere questi farmaci per tutta la vita.

Questa era la “brutta notizia”, però ce ne sono due estremamente buone.

La prima buona notizia è che, se assunta regolarmente, la terapia antiretrovirale contro l’HIV è estremamente efficace e permette ad una persona sieropositiva di condurre una vita paragonabile a quella di una persona sieronegativa. Questo significa che, sostanzialmente, l’aspettativa di vita è la stessa. Anche nel caso di AIDS è comunque possibile ripristinare il funzionamento del sistema immunitario.

La seconda buona notizia è che, sempre se assunta regolarmente, la terapia antiretrovirale permette ad una persona sieropositiva di essere sempre meno contagiosa, fino in diversi casi a non esserlo più. In gergo viene chiamano U=U cioè Undetectable = Untrasmittable (non rilevabile = non trasmissibile).

In poche parole, assumendo regolarmente la terapia la carica virale di una persona con l’HIV continua progressivamente ad abbassarsi e per molte persone ad un punto è talmente bassa da non essere rilevabile dai test. Quando questa condizione permane per 6 mesi consecutivi, la persona non potrà più contagiare attraverso i rapporti sessuali (a patto che continui regolarmente a prendere la terapia).

Questo significa che una diagnosi di HIV non vuol dire necessariamente rimanere contagiosi per tutta la vita. Bisogna specificare che il virus è comunque presente in minima parte, quindi non sarà possibile ad esempio donare il sangue e che c’è un minimo rischio di trasmissione tra la madre e il feto o il neonato (ma inferiore all’1%).

Hai paura di fare il test HIV?

Molte persone sono spesso preoccupate nel fare un test per l’HIV e lo ritardano veramente di molto.

Spesso si pensa di non fare il test pensando che il problema sparisca. Il fatto è che l’HIV, a differenza di altre infezioni, non prevede una guarigione spontanea. Di conseguenza il virus resterà lì e l’unica cosa che andrà a fare è continuare ad attaccare il sistema immunitario, andandone a compromettere il suo funzionamento.

Inoltre una persona che ha l’HIV e non sa di averlo, rischia più facilmente di trasmettere l’infezione ad altre persone, perché non sta assumendo alcun tipo di terapia.

Nonostante la paura di fare il test sia piuttosto comune, dati alla mano bisognerebbe avere paura di non farlo, piuttosto che di farlo.

Come visto prima una diagnosi di HIV non è una condanna a morte, come lo era un tempo quando non esistevano le terapie. Una persona sieropositiva dovrà di certo sottoporsi a maggiori controlli e prendere delle terapie, ma la sua aspettativa di vita è sostanzialmente la stessa di una persona che non ha il virus.

Inoltre l‘HIV per diverso tempo non dà alcun sintomo e quando comincia a darli vuol dire che il sistema immunitario comincia già ad essere compromesso. Nonostante le terapie possano offrire un buon recupero anche in questi casi, è comunque consigliato evitare di arrivarci.

Evitare di sottoporsi al test dicendo “ma io mi sento bene” non è quindi una scusa: anzi, è proprio perché ti senti bene che è il caso di farlo, significa che il tuo sistema immunitario non è al momento compromesso e una diagnosi tempestiva potrebbe evitare di arrivare a quella fase.

Spesso diverse persone pensano che una persona che ha l’HIV abbia qualche segno visibile anche solo guardandola. La verità è che lo strumento per saperlo è solo uno: il test. Nemmeno un medico è grado di dire se una persona ha il virus semplicemente visitandola ma si affida ai test.

Lo stigma dell’HIV nei maschi gay e bisessuali

Spesso e volentieri si parla molto di HIV in relazione a quelli che in gergo si chiamano MSM (males who have sex with males), ovvero maschi che hanno rapporti con altri maschi. Questo talvolta può generare uno stigma, pensando che l’HIV sia “la malattia dei gay”.

Basandoci sui dati scientifici e valutazioni di esperti, in relazione a questa affermazione ci sono da dire alcune cose.

La prima è che l’HIV non riguarda solo gli MSM, anzi. L’Istituto Superiore di Sanità afferma che nel 2019 il 42,3% delle nuove infezioni di HIV era dovuta a rapporti eterosessuali e il 42,2% invece a rapporti tra individui di sesso maschile. Sostanzialmente, quindi, lo stesso numero.

La seconda è che, nonostante i numeri in termini di infezioni siano uguali, c’è un’evidente sproporzione: gli MSM sono statisticamente meno rispetto a tutta la popolazione (maschi e femmine) eterosessuale, ma il numero di infezioni è lo stesso.

La terza è che, questa proporzione non è dovuta al fatto che gli MSM abbiano scarse conoscenze riguardo all’HIV, anzi. Secondo la ricerca europea EIMS del 2010 e quella dell’Università di Bologna del 2014 gli MSM hanno conoscenze più accurate rispetto ad altre popolazioni. I fattori che incidono su questa alta prevalenza sono invece tre, secondo il Ministero della Salute:
– il virus è già presente in un 1 MSM su 10
– i rapporti anali, più frequenti in questo tipo di popolazione, hanno un rischio 18 volte superiore a quelli vaginali
– si tratta di un gruppo più piccolo e ristretto

La quarta è che, continuando a parlare di HIV solo per gli MSM si commette un grande errore. Secondo infatti le indagini dell’Istituto Superiore di Sanità, per gli MSM in circa un caso su due la diagnosi arriva quando l’infezione è in fase avanzata, se parliamo invece di uomini eterosessuali la percentuale aumenta: ben i 2/3 delle volte!

In conclusione: all’HIV non importa il tuo orientamento sessuale

Sarebbe opportuno smettere di parlare di HIV solo per in relazione ai maschi gay e bisessuali, questo consentirebbe di abbassare l’altissima percentuale di diagnosi in fase avanzata tra gli uomini eterosessuali.

Inoltre, aiuterebbe a eliminare lo stigma nei confronti degli uomini che hanno rapporti con altri uomini: l’alta prevalenza in questo tipo di popolazione è dovuta a fattori strutturali, non perché ci sia qualcosa di sbagliato in questo tipo di rapporti.

All’HIV non interessa chi sei o il tuo orientamento sessuale: ha delle vie di trasmissione e se ci riesce contagia attraverso le modalità descritte. I rapporti anali sono generalmente più a rischio solo perché non c’è una una lubrificazione naturale e la mucosa anale va in contro a maggiori lacerazioni, non perché siano sbagliati.

Non importa che tu sia gay, bisessuale, etero: al virus questo non interessa e questo fattore non deve guidare la tua scelta di proteggerti o di fare il test. L’HIV può riguardare chiunque, anche perché nessuno è già protetto o immune dato che attualmente non esiste alcun vaccino.

di Matteo Prati