Carne in tavola: dati e rischi del consumo di prodotti animali

02/21 • 10 min • Copia link

Il consumo e la produzione di carne e derivati negli ultimi cinquant’anni sono aumentati vertiginosamente. Recentemente però l’attenzione verso l’ambiente, gli animali e la salute ha messo in discussione questa tendenza, non abbastanza da invertirla ma in modo sufficiente per far arrivare pietanze a base vegetale sulle nostre tavole sempre più spesso. Tanto da farci chiedere quali sono i rischi del consumo di prodotti animali.

La situazione nel mondo

Secondo le ricerche FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) la produzione di alimenti di origine animale è uno dei settori in più rapida crescita a livello mondiale. Questo settore comprende non solo la produzione di carne e pesce, ma anche quella dei derivati quali uova e latticini

Carni

I numeri della produzione di carne dal 1961 ad oggi sono più che quadruplicati. Nel 2018 nel mondo sono stati prodotti 346.14 milioni di tonnellate di carne, dei quali 127.31 di pollame, 120.88 di carne suina, e 71.61 di carne bovina. Il più grande paese produttore di carne nel mondo attualmente è la Cina, seguita dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. I tipi di carne prodotti nel mondo variano sensibilmente da zona a zona e sono spesso legati a fattori culturali e religiosi.

produzione carne mondo
L’evoluzione della produzione di carne negli ultimi 60 anni. Fonte: Our World in Data

In media il consumo pro capite di carne nel mondo nel 2014 ammontava a 43 kg, dieci chili in più rispetto al 1994. Questo dato è soggetto a profonde variazioni a seconda delle zone del mondo e delle carni interessate. Le regioni del mondo in cui si consuma più carne sono il Nord America e l’Australia, che arrivano a una media di 100 kg di carne pro capite all’anno. Dall’altro lato alcuni paesi dell’Africa registrano un consumo pro capite annuo di 10 kg.

Un significativo aumento nel consumo si registra nei paesi che hanno conosciuto forti crescite dal punto di vista economico. È il caso della Cina e del Brasile. Un paese che rappresenta una grande eccezione è l’India, la cui popolazione è in gran parte vegetariana. Il consumo di carne pro capite annuo in India è rimasto sostanzialmente invariato dal 1961 al 2014, con una media di 4 kg su una popolazione che nel 2014 registrava 1,269 miliardi di persone.

Uova e latticini

La FAO stima che nel 2011 la produzione di uova nel mondo presentava più di 6.5 miliardi di galline ovaiole. Il continente che contribuisce maggiormente alla produzione di uova è l’Asia (61,5% della produzione mondiale). Secondo queste stime la media mondiale del consumo si aggira intorno alle 201 uova annue pro capite con profonde variazioni a seconda dei paesi.

Il consumo di latte e derivati interessa circa 6 miliardi di persone nel mondo, la maggior parte di queste si trova in paesi in via di sviluppo. Negli ultimi trent’anni, la FAO ha registrato un incremento del 59% nella produzione di latte. Il più grande paese produttore di latte è l’India, che da sola ricopre il 22% della produzione mondiale, seguita dagli USA, la Cina, il Pakistan e il Brasile. L’83% del latte prodotto al mondo è di origine vaccina (latte di mucca), il 14% è latte di bufala, il 2% di pecora, l’1% di capra e lo 0,3% di cammello.

I prodotti animali in Italia

Secondo un articolo pubblicato lo scorso luglio da Il Fatto Quotidiano nel 2020, dei 300 milioni di animali allevati in gabbia nei Paesi dell’Unione Europea, più di 43 milioni di trovano in Italia. Nella classifica dei paesi europei più virtuosi in base alle modalità di allevamento oggi l’Italia si trova al quindicesimo posto, con il 68% degli animali allevati in gabbia. Nel nostro paese non esitono divieti nell’utilizzo di gabbie per l’allevamento di galline, conigli, quaglie, vitelli e scrofe; l’unica eccezione è rappresentata dalle oche.

Uno sguardo all’ultimo decennio

Il 7 maggio 2020 l’associazione Essere Animali ha pubblicato un report che ripercorre i cambiamenti il consumo di carne e di prodotti di origine animale in Italia negli ultimi dieci anni.

Secondo queste analisi nel decennio 2010-2019 il consumo di carne (ma anche di uova e latticini) in Italia è diminuito. Al contrario è aumentato il numero di animali macellati a causa dell’aumento della macellazione di animali di piccola taglia.

Alcuni dati interessanti riguardano il consumo pro capite di carne bovina, diminuito del 28%, e l’aumento del numero di bovini allevati in modo biologico. Negli ultimi anni diversi scandali hanno rivelato le brutali condizioni in cui gli animali vivono e i rischi di infezioni a cui sono esposti.

Il consumo di latte pro capite è diminuito da 53,9 kg a 45,9 kg ll’anno. Ma il numero delle mucche da latte è rimasto pressoché invariato. È stata registrata una diminuzione del 32% del numero degli allevamenti, il che suggerisce un aumento del modello intensivo.

Il consumo di carne avicola (polli, tacchini, faraona, quaglia, oca, e simili) ha conosciuto un significativo aumento (+10%) tra il 2010 e il 2019. Un aumento dell’8% è stato registrato nel numero di polli allevati secondo metodi biologici, oggi si tratta dello 0,7% del totale dei polli allevati.

Dopo le scoperte che hanno giudicato la carne rossa come potenzialmente dannosa per l’organismo, il consumo della carne bianca da parte degli italiani è cresciuto. Lo stesso vale per il pesce, il cui consumo ha conosciuto una crescita del 50% tra il 2010 e il 2018.

Quali rischi comportano la produzione e il consumo di prodotti animali?

Il modello intensivo di produzione di carne e derivati ha gravi conseguenze sia per l’ambiente che per la salute, degli esseri umani da un lato e degli animali dall’altro.

cafo
Un esempio di CAFO (Concentrated Animal Feeding Operations) in North Carolina, USA

Il danno ambientale

Spesso quando si discute di ridurre l’impatto ambientale delle azioni umane, si pensa all’introduzione di nuovi metodi per produrre energia, alla possibilità di trasformare i nosti mezzi di trasporto, a ridurre l’utilizzo della plastica. Tutte queste sono azioni valide ma è importante sottolineare che l’industria di prodotti animali è responsabile del 26% delle emissioni di gas serra nel mondo. I gas serra sono quei gas che, attraverso l’assorbimento delle radiazioni solari, causano l’effetto serra. L’effetto serra porta con sé un forte aumento delle temperature, causato dall’intrappolamento dei gas serra nell’atmosfera.

La pratica più dannosa per l’ambiente, quando si parla di produzione di cibo, è l’allevamento di bovini. In questo video Vox illustra nel dettaglio le differenze nell’impatto ambientale tra i vari tipi di alimenti: oltre alla carne bovina, il cioccolato e il caffè contribusicono in modo massiccio ai danni ambientali.

Secondo un’analisi della FAO, nel 2014 il 33% delle catture di pesce è da considerarsi insostenibile per l’ambiente. Questo numero cresce vertiginosamente fino all’80% all’interno del Mediterraneo che, secondo le statistiche, è il mare più sfruttato del globo.

Preoccupazioni per la salute umana

Un dato importante che circonda il consumo di carne, in particolare avicola, è l’alta presenza di batteri resistenti agli antibiotici. Questi batteri contenuti nella carne venduta, rendono i consumatori a loro volta resistenti e di conseguenza più esposti a infezioni. Secondo una ricerca di Altroconsumo del 2019, su 42 campioni di pollo analizzati, tutti presentano uno o più geni portatori di resistenza agli antibiotici. Tra i campioni analizzati sono presenti anche carni che riportano la dicitura “allevato senza uso di antibiotici” o “allevato a terra”. L’antibiotico-resistenza è una problematica che il mondo si trova ad affrontare sempre di più man mano che la produzione di carne cresce e aumenta l’utilizzo massiccio e incontrollato di medicinali. In Europa, secondo le stime, 33.000 morti all’anno sono causate da infezioni di batteri resistenti agli antibiotici, di questi oltre 10.000 sono registrate in Italia.

Diverse malattie e infezioni che gli esseri umani possono contrarre, in particolari vari virus dell’influenza, sono spesso legati ai sistemi di allevamento intensivi. In un articolo di Indipendent sono riportate le parole di Valentina Rizzi, Scientific Officer dell’EFSA (European Food Safety Authority). Rizzi ricorda che negli ultimi 10 anni la maggior parte delle nuove infezioni contratte dagli esseri umani sono riconducibili agli animali o a cibi da essi derivati.

Altri rischi per la salute umana nel consumo di derivati animali prodotti industrialmente sorgono di anno in anno e sono spesso legati a lunghi dibattiti da parte della comunità scientifica e non. Un esempio paradigmatico sono le discussioni sorte alla luce di una ricerca dell’ONU del 2015 che lega il consumo di carni rosse a una maggiore incidenza del rischio di cancro.

Le condizioni degli animali

Come già accennato nel paragrafo precedente la salute è un elemento di grosso rischio quando si parla di allevamenti intensivi. I danni sono causati dalla mancanza di attenzioni mediche, dalla sovralimentazione, dai maltrattamenti e dall’altissima concentrazione di individui trattenuti in uno spazio minimo. Questo però non è l’unico aspetto da tenere in considerazione. Gli animali che vivono negli allevamenti che forniscono al mercato la maggior parte della carne hanno spesso esistenze molto brevi, dolorose e indecorose. In Italia negli anni recenti sono emersi diversi scandali che riguardano queste problematiche. Nel 2017 il macello Italcarni, in provincia di Brescia, gli inquirenti hanno filmato lo scarico degli animali nel quale alcuni animali sono rimasti feriti dalle catene di ferro utilizzate. Le ferite non sono state curate e hanno così infettato la carne che è stata comunque immessa sul mercato. Un evento simile ha interessato un mattatoio in provincia di Torino.

Negli ultimi anni sta crescendo la consapevolezza nei confronti delle aberranti condizioni di vita a cui sono costretti gli animali destinati al consumo. Alcune delle testimonianze più forti arrivano da dei documentari facilmente reperibili online, tra cui Dominion (VIMEO) e Cowspiracy (Netflix).

Immagini da un allevameto intensivo di maiali. Fonte: Undercover Investigation at Manitoba Pork Factory Farm

La “vita” di una mucca da latte

Un noto esempio sono i vitelli e le mucche da latte allevati all’interno di strutture intensive. Le mucche qui vengono selezionate geneticamente e inseminate artificialmente. Dal secondo anno di vita in poi sono incinte nove mesi ogni anno e producono latte per i dieci mesi successivi al parto.

Subito dopo la nascita i cuccioli vengono sottratti alle madri e nutriti con preparazioni artificiali per rendere la loro carne appetibile ai consumatori. Mentre il latte delle madri è sfruttato per il consumo umano. Se il vitello nato è una femmina sarà destinata al medesimo ciclo di sfruttamento. Se si tratta di un maschio, a seconda della razza, verrà destinato al macello nei primi mesi di vita oppure ucciso direttamente, se la sua carne non è considerata adatta al consumo.

Naturalmente una mucca sarebbe in grado di produrre latte per 8-9 anni nel suo ventennio di vita. Ma in queste circostanze spesso gli animali vengono prosciugati molto prima e la produzione di latte cessa dopo 2-3 anni. A quel punto l’animale, spesso in gravi condizioni di salute a causa dell’alimentazione scorretta e del sovrasfruttamento, viene destinato al macello.

Prospettive future dei prodotti animali

Nei prossimi decenni la FAO prospetta una rapida crescita della produzione di prodotti animali. Le stime vedono un incremento del settore dell’80% entro il 2030 e del 200% entro il 2050.

In diversi paesi occidentali allo stesso tempo, sempre più persone stanno optando per delle diete che contengono meno carne e prodotti derivati. Le ragioni dietro questa scelta possono essere molteplici e talvolta riflettono visioni del mondo e modelli di pensiero che vanno oltre gli aspetti apparantemente più evidenti.

Leggi anche: “La scienza nel 2021”

di Teresa Tessari