Commercio di armi nel mondo: un settore senza crisi

04/21 • 8 min • Copia link

Il settore delle armi con conosce crisi, e neanche la situazione di emergenza sanitaria è riuscita a frenare il commercio di armi nel mondo. Infatti, le spese militari continuano a crescere, tanto che nel 2018 sono arrivate a sfiorare i duemila miliardi di dollari. Per fare chiarezza, dal 2016 al 2020, sono state circa il 2,2% del Pil globale.

Il commercio di armi nel mondo

Entriamo nell’occhio del ciclone e cerchiamo di farci un’infarinatura generale di come sta andando il commercio di armi nel mondo.

I pilastri dell’esportazione mondiale

Come ampiamente prevedibile, il binomio armi e Stati Uniti si conferma decisamente solido. Secondo quanto riportato dall’indagine del SIPRI, – istituto internazionale indipendente impegnato in ricerche su conflitto, armamenti, controllo e disarmo – la terra a stelle e strisce guida infatti la classifica di maggiori esportatori di armi nel mondo, accaparrandosi una fetta corrispondente al 37% del totale. Di questa fetta, circa la metà delle esportazioni americane ha come destinazione il Medio Oriente, con l’Arabia Saudita che guida la classifica dei maggiori importatori. Gli Stati Uniti hanno consolidato ulteriormente il primato nel periodo tra il 2016 e il 2020, grazie ad una crescita esponenziale delle esportazioni verso altri territori del Medio Oriente. Per rendere meglio l’idea, l’export americano è superiore del 58% rispetto a quello della Russia, al secondo posto di questa classifica.

La Russia di Vladimir Putin, infatti, occupa la seconda posizione della classifica dei maggiori esportatori di armi, con il 20% sul totale. Percentuale in calo rispetto al quinquennio che va dal 2011 al 2015 a causa del crollo delle vendite di armi all’India, solitamente intorno al 53%.

Francia, Germania e Cina

Situazioni diverse per la terza e la quarta posizione in classifica: Francia e Germania. Parigi infatti, con l’8,2% delle esportazioni mondiali, ha visto aumentare esponenzialmente (circa il 44%) le esportazioni di armi vendute principalmente a India, Egitto e Qatar (in ordine casuale). La Germania, dopo aver assistito ad un calo del 14% che si è protratto fino al 2014, si è risollevata. Tra il 2016 e il 2020, infatti, ha aumentato le sue esportazioni di armi del 20% posizionandosi al quarto posto con il 5,5% dell’export mondiale. Corea del Sud, Algeria ed Egitto i Paesi che hanno importato più armi tedesche.

Chiude la Top5 la Cina, con il 5,2% delle esportazioni mondiali. Il dragone rosso, infatti, ha visto diminuire le sue esportazioni del 7,8%, vendendo le proprie armi, principalmente, a Pakistan, Bangladesh e Algeria. In forte calo anche Regno Unito (4,2%) e Spagna (3,2%), che occupano rispettivamente la sesta e la settima posizione, seguono Israele con il 3,1% e la Corea del Sud con il 2,7%.

I maggiori importatori

Se i numeri complessivi dell’esportazione globale di armi sono quelli citati finora, vien da sé che dall’altra parte del tavolo ci siano seduti i Paesi che pagano per ottenere questi “giocattolini”. Infatti, a sostegno della regola non scritta per cui ad ogni venditore corrisponde un compratore, ecco che il primo Paese importatore di armi – per distacco – è l’Arabia Saudita. La “culla dell’umanità”, infatti, guida la classifica dei maggiori importatori di materiale bellico con il 12% del totale. Secondo posto per l’India con il 9,5% e medaglia di bronzo all’Egitto, con il 5,1% dell’import totale.

Come emerso dall’indagine del SIPRI, la percentuale delle importazioni di armi da parte dei Paesi del Medio Oriente è notevolmente cresciuta nel periodo tra il 2014 e il 2018. In questo periodo, infatti, la corsa agli armamenti è salita di circa l’87% rispetto al quadriennio precedente. L’Arabia Saudita guida il gruppo (33%), con Egitto (15%), Emirati Arabi Uniti (11%) e Iraq (10%) che seguono e costituiscono i pilastri dell’importazione.

L’Italia nella Top10 per il commercio di armi

Ovviamente anche l’Italia fa parte di questa classifica. Per trovarla non dobbiamo far altro che scorrere con il dito fino alla posizione numero dieci, con il 2,3% delle esportazioni globali.

La vendita di armi in Italia fa riferimento a due linee guida fondamentali. La prima è l’Articolo 11 della Costituzione, secondo il quale “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”. La seconda, invece, è La Legge 185/90, che “impedisce che le armi italiane possano essere venduti a Stati in guerra o che violano i diritti umani”. E dunque, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che “prevede il diritto di uno stato a usare la forza in caso di legittima difesa”. In sintesi, se A attacca B, l’Italia può vendere materiale bellico a B e non ad A.

In Italia, l’export di militare bellico passa attraverso la concessione di specifiche autorizzazioni rilasciate da parte del governo (Ministero degli Esteri, Ministero della Difesa, Ministero dello Sviluppo Economico). Nel 2012, per semplificare il procedimento, è stato istituito il UAMA, un consiglio ristretto che si occupa di decidere a chi vendere e perché.

Tenendo bene a mente quanto detto, vediamo come – fino al 1990 – l’Italia non elargiva un così grande contributo all’export mondiale, anche in virtù dell’Articolo 11. Il 1990 funge un po’ da turning point della questione. In seguito ad alcuni scandali bancari sui finanziamenti illegali di armi per l’Iraq di Saddam Hussein, il terzo governo Andreotti approva la legge 185/90. La percentuale di autorizzazioni all’export di armi inizia dunque ad alzarsi, rimanendo però sempre intorno all’1,5%, per stare larghi.

L’aumento delle autorizzazioni

Nel 2005, il secondo governo Berlusconi inizia a lasciare più spazio alle concessioni, e l’indice di autorizzazioni per l’esportazione di armi dall’Italia comincia a salire. L’indice aumenta progressivamente fino al collasso economico del 2008. Da qui, il nostro grafico immaginario subisce una serie di rimbalzi che fanno oscillare il cursore tra i 2 e 3 miliardi di euro all’anno fino al 2015.

Infatti, nel periodo che va dal 2015 al 2019, la somma delle autorizzazioni per l’export militare è stata di oltre 44 miliardi di euro, addirittura maggiore di quella dei 15 anni precedenti. L’impennata maggiore è avvenuta tra il 2015 e il 2016 con il governo Renzi (shock), dove si è passati dai 7 ai 15 miliardi di autorizzazioni concesse.

In seguito, nel 2018, il valore delle autorizzazioni concesse dal governo per l’esportazione di armi si è quasi dimezzato rispetto all’anno precedente. Sebbene questo calo si possa ricondurre ad una strategia più prudente del governo pentastellato, l’esperto Giorgio Beretta ha spiegato che si tratta esclusivamente di un calo fisiologico dovuto all’enorme quantitativo di ordini ricevuti nell’ultimo periodo.

Il risvolto esplosivo del Made in Italy

Come ben sappiamo, il Made in Italy è molto apprezzato nel mondo e non solo interessa il campo della moda e quello culinario. Infatti, una bella porzione di questo meraviglioso Made in Italy riguarda soprattutto le armi. Un mercato – verrebbe da dire – esplosivo e che vale, oltre che ingenti quantità di denaro, un gran bel numero di posti di lavoro.

Nel mercato dell’export di materiale bellico, la principale azienda italiana è la Leonardo, che occupa circa il 70% del mercato totale con un fatturato annuale di circa 14 miliardi di euro. Il principale azionista della Leonardo è proprio il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con una quota pari al 30% delle azioni totali. Quindi, in parole semplici, lo Stato per legge è tenuto a supervisionare le aziende, ma al contempo queste aziende sono di proprietà dello Stato stesso. Si incappa dunque in un divertente paradosso per cui i “controllati” sono – in un certo senso – i controllori.

Ma quindi, cosa vendiamo? Il mercato militare italiano spazia in lungo e in largo. L’Italia, infatti, vende sia artiglieria leggera come fucili e pistole, che mezzi pesanti come navi, elicotteri, siluri, sistemi di puntamento, equipaggiamenti militari e carri armati.

Commercio di armi: a chi vende l’Italia?

E ora la domanda più “saporita”, ovvero: a chi vende l’Italia? L’ultima relazione annuale presentata al Parlamento ha riportato un ulteriore passo verso la tendenza verificatasi negli ultimi anni.

Infatti, meno della metà degli introiti è avvenuta grazie al commercio di armi con i paesi “alleati”, quindi o nell’Unione Europea o all’interno della NATO. La parte consistente del guadagno italiano, invece, arriva dalla vendita di materiale bellico a paesi extra UE e soprattutto extra NATO, e spesso in condizioni sociali decisamente “precarie”. Per capire meglio la situazione possiamo prendere ad esempio la relazione del 2018. Quell’anno, infatti, l’export militare verso i paesi alleati corrispondeva a poco più di 1 miliardo di euro; mentre quello verso gli altri paesi (che ora vedremo) valeva circa 5 miliardi di euro totali.

I migliori clienti

Nel 2019, il miglior acquirente del Made in Italy nel settore militare era il Qatar, con un totale che si aggira intorno ai 2 miliardi di euro. Dando un’occhiata alla relazione nel SIPRI relativa al periodo 2016-2020, invece, si può notare che la testa della classifica se la sia presa la Turchia di Recep Erdoğan con il 18% del totale. A seguire, si trova l’Egitto con il 17% e il Pakistan con il 7,2%. A chiudere, tre stati della Penisola arabica: Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Tutti paesi che, in un modo o nell’altro, entrano in contrasto con la Legge 185/90 e con quanto recita l’Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.

Il Qatar, infatti, è una monarchia assoluta nella penisola Arabica, in cui il rispetto dei diritti umani sembra essere sconosciuto. Situazione analoga per quanto riguarda Arabia Saudita (in guerra da anni con lo Yemen) ed Emirati Arabi Uniti. Anche il Pakistan si colloca in una zona instabile del globo, in quanto vive ciclicamente dei periodi di screzio con l’India. La situazione che però fa più discutere è quella con l’Egitto, non tanto per un tema legale quanto politico. La concessione di nuove autorizzazioni per armi destinate all’Egitto di Abdel Fattah al Sisi è stata oggetto di polemiche da parte di che si aspettava una presa di posizione in seguito all’omicidio di Giulio Regeni.

La domanda sorge quindi spontanea: perché l’Italia continua a vendere 5 miliardi di euro in sistemi d’arma a questi Paesi? Beh, la risposta non è forse nella domanda stessa?

di Alessandro Rossetti